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Torta di mele o sul perché dare un “nome proprio” ad una ricetta.

Di recente ho preparato una torta di mele e pere della tradizione ebraica tratta dal libro “Hazana” di Paola Gavin, chiamata torta Giaele e che vorrei condividere qui con voi. Mi ha incuriosito il nome associato alla torta. Subito dopo sono andato a consultare il ricettario che abbiamo a casa. Ricordavo infatti come diverse ricette riportassero un nome: la torta di mele di Silvana, quella alle noci e cioccolato di Lucia oppure la crostata di Carla. Riflettendo ancora, mi son reso conto che esistono tanti altri piatti dedicati a qualcuno di più o meno famoso. Che ci sia un sottile filo rosso a legare questi nomi? Provo a ritrovarlo tra i pensieri che mi frullano in testa e a raccontarvi come cucinare questa deliziosa ed inusuale torta.

Partiamo proprio dalla torta Giaele. Paola Gavin ci racconta nel suo straordinario libro di cucina vegetariana ebraica (che letteralmente adoro e che consiglio di regalarvi) come una preparazione associata a nomi quali Giaele, Rachele o Sara ci dia una chiara indicazione sulla sua origine, in questo caso ebraica.

torta mele e pere senza uova e farina

Molto meno, apparentemente, ci racconta un qualsiasi piatto con il nome di “qualcuno”, scegliete voi un nome a caso. E anzi, sembrerebbe quasi un esercizio mentale assurdo quello di soffermarsi e ragionare sul perché dare un nome umano ad una ricetta. È facile, viene subito da dire. Lo è in effetti: è una forma di riconoscimento verso chi ha inventato quel piatto, un omaggio lasciato ai posteri.

Pensate alle famose Fettuccine Alfredo, nate dalle mani dello chef Alfredo Di Lelio, a base di doppio burro e parmigiano, che da un ristorante romano hanno preso il largo dappertutto nel mondo e sono divenute il simbolo della cucina italiana all’estero, nonostante da noi siano quasi totalmente sconosciute. Ancora la Caesar salad, inventata negli anni Venti dallo chef Caesar Cardini nel suo ristorante a Tijuana, in Messico, e ancora oggi famosissima. Così anche le ricette “di casa” servono a lasciare una firma, molto spesso quella dell’autore.

Altri piatti non portano invece il nome di chi li ha creati ma piuttosto quello della persona a cui sono dedicati. L’esempio più famoso è quello della Pavlova, una torta a base di meringa creata in onore della ballerina russa Anna Pavlova mentre era in tour tra Australia e Nuova Zelanda. Così anche i Garibaldi biscuits, dei biscotti-sandwich farciti con uvetta: sono sconosciuti in Italia ma popolari in UK, dove sono stati inventati per celebrare proprio Giuseppe Garibaldi. 

torta di mele nel piatto

Tutto qui allora? A riflettere bene, donare un nome di persona ad un piatto è molto di più che un mero riconoscimento o una semplice celebrazione:

Donare un “nome proprio” ad un piatto significa incontrare chi ha inventato quella ricetta, durante la preparazione e l’assaggio. Percepire i suoi modi di essere in cucina e il suo carattere grazie a quella spezia in più o a quell’ingrediente in meno. Insomma, quel tocco che rende la torta di mele di Stefania, di Carla o di Giaele.

Scavando ancora sotto la superficie, dare un nome e riconoscerlo, preparando “la ricetta di…” significa anche incontrare il mondo emotivo di quella persona, il legame sottile che la lega e che “forse” spiega perché proprio quella preparazione porta il suo nome. Oppure significa anche tirare ad indovinare quali sono i suoi gusti, immaginare cosa quella persona vorrebbe mangiare e, se non esiste, crearla appositamente per lei. Insomma, dare un nome in cucina è una forma di incontro, di conoscenza su più livelli. E voi, avete già una ricetta che porta il vostro nome o avete mai dedicato una ricetta a qualcuno?

Mentre ci pensate, vi propongo qui la ricetta della torta Giaele ispirata dal libro della Gavin. Non aspettatevi la classica torta di mele e pere con pan di spagna. Infatti, per prepararla non vi serviranno né uova, né farina…perché la ricetta prevede quasi esclusivamente della frutta. In realtà assomiglia un po’ ad un grande crumble, arricchito da uvetta, mandorle e pangrattato (sì, sorprendentemente). Dalla consistenza morbida e con delle incursioni spigolose e croccanti, questa torta è perfetta da mangiare caldissima col cucchiaino. O perlomeno a me piace così. E forse lo stesso vale per Giaele.

ingredienti per preparare la torta di mele

 Ingredienti per una tortiera di 24-26 cm:

  • 3 mele
  • 3 pere
  • 60 g di zucchero
  • 60 g di granella di mandorle
  • 60 g di pangrattato
  • 60 g di burro
  • 60 g di uvetta
  • 1 cucchiaino di cannella
  • 3-4 cucchiai di acqua

Procedimento:

Prima di tutto pesate e mettete da parte lo zucchero, le mandorle, il pangrattato, il burro. Pesate anche l’uvetta e mettetela in ammollo in acqua calda per 10 minuti. Misurate anche la cannella.

Lavate e sbucciate mele e pere. Tagliatele in fette spesse circa 3 mm.

Date una spolverata di zucchero sul fondo della vostra tortiera ed iniziate a distribuire mele e pere tagliate a fettine. Cospargete la superficie con zucchero, granella di mandorle, pangrattato e una spolverata di cannella. Aggiungete anche l’uvetta e qualche piccolo tocchetto di burro. Ripetete questi passaggi fino a che non avrete esaurito tutti gli ingredienti.

Cospargete la superficie con 3-4 cucchiai di acqua in maniera delicata.

Infornate a 180°C per 30-40 minuti fino a che la superficie non è dorata. In ogni caso, per il tempo di cottura, regolatelo in base alle caratteristiche del vostro forno.

Tirate fuori la torta, lasciate che si raffreddi per qualche istante e poi sarete pronti a divorarla.

2 Comments

  • Ines Di Lelio

    STORIA DI ALFREDO DI LELIO, CREATORE DELLE “FETTUCCINE ALL’ALFREDO” (“FETTUCCINE ALFREDO”), E DELLA SUA TRADIZIONE FAMILIARE PRESSO IL RISTORANTE “IL VERO ALFREDO” (“ALFREDO DI ROMA”) IN PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA

    Con riferimento al Vostro articolo ho il piacere di raccontarVi la storia di mio nonno Alfredo Di Lelio, inventore delle note “fettuccine all’Alfredo” (“Fettuccine Alfredo”).
    Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma in Vicolo di Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi).
    Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio: nacque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue “fettuccine”, divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è “the birthplace of fettuccine all’Alfredo”.
    Alfredo Di Lelio inventò le sue “fettuccine” per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie (e mia nonna) Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito (mio padre Armando). Il piatto delle “fettuccine” fu un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con “i baffi all’Umberto” ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue “fettuccine” davanti ai clienti sempre più numerosi.
    Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna (oggi Galleria Sordi), Alfredo Di Lelio decise di aprire a Roma il suo ristorante “Alfredo” che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a terzi estranei alla sua famiglia.
    Ma l’assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante “Il Vero Alfredo” (noto all’estero anche come “Alfredo di Roma”) in Piazza Augusto Imperatore n.30 (cfr. il sito web di Il Vero Alfredo).
    Con l’avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della “dolce vita”. Successo, che, tuttora, richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose “fettuccine all’Alfredo” al doppio burro da me servite, con l’impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare dei miei cari maestri, nonno Alfredo, mio padre Armando e mio fratello Alfredo. In particolare le fettuccine sono servite ai clienti con 2 “posate d’oro”: una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani M. Pickford e D. Fairbanks (in segno di gratitudine per l’ospitalità).
    Un aneddoto della vita di mio nonno. Alfredo fu un grande amico di Ettore Petrolini, che conobbe nei primi anni del 1900 in un incontro tra ragazzi del quartiere Trastevere (tra cui mio nonno) e ragazzi del Quartiere Monti (tra cui Petrolini). Fu proprio Petrolini che un giorno, già attore famoso, andando a trovare l’amico Alfredo, dopo averlo abbracciato, gli disse “Alfré adesso famme vede che sai fa”. Alfredo dopo essersi esibito nel suo tipico “show” che lo vedeva mischiare le fettuccine fumanti con le sue posate d’oro davanti ai clienti, si avvicinò al suo amico Ettore che commentò “meno male che non hai fatto l’attore perché posto per tutti e due nun c’era” e consigliò ad Alfredo di tappezzare le pareti del ristorante con le sue foto insieme ai clienti più famosi. Anche ciò fa parte del cuore della bella tradizione di famiglia che continuo a rendere sempre viva con affetto ed entusiasmo.
    Desidero precisare che altri ristoranti “Alfredo” a Roma non appartengono e sono fuori dal mio brand di famiglia.
    Il brand “Il Vero Alfredo – Alfredo di Roma” è presente in Messico con 2 ristoranti (Città del Messico e Puebla) e 2 trattorie (Città del Messico e Cozumel) sulla base di rapporti di franchising con il Group Hotel Presidente Intercontinental Mexico.
    Vi informo che il Ristorante “Il Vero Alfredo” è presente nell’Albo dei “Negozi Storici di Eccellenza” del Comune di Roma Capitale.
    Grata per la Vostra attenzione ed ospitalità nel Vostro interessante blog, cordiali saluti
    Ines Di Lelio

    • Davide

      Ciao! Grazie mille per questo spaccato storico e familiare, ho molto apprezzato 🙂
      Appena potrò venire a Roma, passerò sicuramente a trovarvi!

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