Cosa ne dite di un insolito viaggio culinario in Nord Africa tra religione, riti pagani e demoni o divinità della fortuna? Dopo essere stati in Marocco per un’insalata speziata con arance e olive nere, questa volta vi porto in Algeria per cucinare un cous cous agrodolce a base di burro, fave verdi, uvetta e mandorle per l’eccezionale festa di Mimouna.
Mimouna è la festa degli ebrei marocchini ed algerini, una festa di famiglia per celebrare la fine della Pasqua ebraica nota come Pesach, un periodo che dura ben otto giorni. È un evento spirituale e simbolico allo stesso tempo: da un lato si ritornano a mangiare cibi lievitati – proibiti durante il periodo pasquale – dall’altro la festa di Mimouna segna anche l’inizio della primavera, divenendo augurio di abbondanza e ricchezza per la nuova stagione. È una ricorrenza mobile e quest’anno è stata celebrata la sera tra il 27 ed il 28 aprile.
Ma partiamo dall’inizio. Per molti Mimouna ha un’origine religiosa: alcuni la collegano al compleanno di Mosè Maimoinide, conosciuto anche come Rambam, uno dei più grandi pensatori dell’ebraismo; per altri invece Mimouna deriva dalla parola araba ma’amoun che significa “protetto da Dio” o “ricchezza” oppure ricorda la parola ebraica emunah che significa invece “fede”.
In realtà questa festa potrebbe invece avere delle radici pagane. Infatti Mimoun in arabo significa fortuna ed anche il nome di un diavolo la cui sposa si chiama Mimouna. In passato, per placare questi demoni ed invocare salute e successo venivano allestiti dei sontuosi banchetti e intonate delle canzoni alla dea della fortuna. Questa tradizione maghrebina sarebbe stata poi ripresa dagli ebrei sefarditi a partire dal 15° e 16° secolo e trasferita nella moderna festa di Mimouna. In questo giorno, subito dopo il tramonto, gli ebrei marocchini e algerini aprono le porte di casa a tutta la comunità, senza necessità di inviti formali e si salutano dicendo:
“Tirbah u’tissad” , ossia:
“Che tu possa avere successo e prosperità”
La particolarità di questa festa è che non coinvolge solo gli ebrei ma diventa anche un’occasione d’incontro con i vicini musulmani. I primi infatti indossano le loro vesti migliori e allestiscono una tavola dove abbondano leccornie fruttate e dolci: datteri farciti, marmellate di ogni genere (mazune), torroni di mandorle (zabane), cous cous e le famose mouflete, dei pancake con burro e miele. Tutti queste pietanze diventano simboli di fertilità, gioia e fortuna.
Gli amici musulmani donano invece agli ebrei fiori, spighe di grano, fave verdi con cui decorare la tavola. Ma portano soprattutto pane, latte, pesce, burro fresco e altri cibi vietati durante la settimana di Pesach. Il confine sacro della festa viene così superato, segno che i rapporti possono andare ben oltre le divisioni religiose, perlomeno per una sera.
A partire dagli anni ‘70 questa festa ebraica, ma pur sempre di origine nordafricana, è diventata popolare anche in Israele e rivendicata con orgoglio dagli ebrei marocchini che si erano lì trasferiti. Si è passati dalle cene private a celebrazioni pubbliche, come quella che si svolge a Gerusalemme nel parco Sacher e che arriva a coinvolgere fino a 100.000 persone. Col tempo è diventata una festa nazionale che coinvolge non solo le nuove generazioni marocchine sefardite ma anche gli ebrei askenaziti, l’altra grande corrente dell’ebraismo. E a questo proposito nel 2016 è stato anche lanciato un video promozionale e ironico che invitava i sefarditi a festeggiare Mimouna adottando proprio un ebreo askenazita.
Se ci pensiamo bene allora lo spirito di Mimouna forse non è soltanto quello della condivisione di una tavola traboccante di succulenti doni ma soprattutto quello dell’inclusione e accettazione dell’Altro. Altro inteso come i musulmani che professano tutt’altra religione ma diventano i benvenuti e anzi partecipano attivamente alla realizzazione di Mimouna. Altro inteso anche come gli askenaziti che all’interno dell’ebraismo hanno usi e tradizioni opposte rispetto ai sefarditi, provando ad incontrarsi.
Questo stesso spirito complesso e che unisce anime differenti l’ho trovato in questo piatto agrodolce a base di cous cous. Le fave verdi, cucinate al vapore, trattengono ancora un po’ delle loro note amarognole ma sono addolcite dall’uvetta. Le mandorle, assieme ad una spolverata di cannella e zucchero a velo completano questo quadro variopinto nel gusto e nel colore. È il cous cous perfetto per assaporare la dolce tradizione di contrasti e assonanze della festa di Mimouna e che ricalca molto la natura multiforme della primavera.
Ecco la ricetta, adattata dal libro “Hazana” di Paola Gavin.
Ingredienti per 4 persone:
- 270 g di fave verdi fresche sbucciate
- 40 g di uvetta
- 60 g di burro
- 2 scalogni
- 450 ml di acqua
- 1 cucchiaino e mezzo di sale
- 320 g di cous cous
- 40 g di mandorle spellate
- Zucchero a velo
- Cannella in polvere
Procedimento:
Iniziate dalle fave: cucinatele al vapore per circa 20 minuti o finché non saranno tenere. Nel frattempo mettete in ammollo l’uvetta in acqua calda fino alla fine della preparazione della ricetta.
In una casseruola scaldate la metà del burro (30 g) e fate imbiondire gli scalogni tritati. Non appena saranno rosolati e traslucidi, aggiungete l’acqua e il sale, coprite e portate ad ebollizione.
Appena l’acqua bolle, versate il cous cous e spegnete il fuoco. Facendo attenzione a non scottarvi, ruotate lievemente la casseruola per distribuire il cous cous in maniera uniforme. Aggiungete il restante burro (30 g), coprite e lasciate da parte per circa 10 minuti.
Nel frattempo fate dorare le mandorle in una padella per 2-3 minuti.
Passati i 10 minuti, aprite la casseruola e sgranate il cous cous con una forchetta: iniziate dal centro e fate attenzione a lavorarlo bene fino ai bordi.
A questo punto aggiungete le fave verdi e l’uvetta sgocciolata, che sarà morbidissima.
Mescolate e servite. Decorate con le mandorle e su ogni piatto spolverate con pochissima cannella e un cucchiaino raso di zucchero a velo. Condito così è davvero buonissimo.